Data storica 11 giugno 1889
Tutto ebbe inizio con la cena dell’11 giugno 1889 al palazzo Reale di Capodimonte.
Il pizzaiolo Raffaele Esposito , per onorare la regina, inventò il nome “Pizza Margherita”, dove i condimenti, pomodoro, mozzarella e basilico, rappresentavano la bandiera italiana .
Dopo diversi studi, ecco la storia come ci è stata tramandata, non proprio corretta.
Nel 1889, i Reali di Savoia Umberto I° e Margherita (prima Regina d’Italia) trascorsero il mese di giugno a Napoli nella reggia di Capodimonte, come voleva una certo galateo della monarchia, era un atto dovuto all’antico Regno delle due Sicilie, ormai riunificato.
Ecco come viene narrata la storia che tutti conosciamo:
Ma non potendo andare lei in pizzeria, la pizzeria, andò da lei.
Venne chiamato a Palazzo il più rinomato pizzaiolo del tempo, don Raffaele Esposito della “Pizzeria Regina d’Italia”. La scelta non era casuale in quanto nel 1780 Pietro Colicchio, aveva fondato da la pizzeria “Pietro…e basta così” in Salita S. Anna di Palazzo, nei pressi di Palazzo Reale.
Proprio la vicinanza a Palazzo portò Ferdinando I° di Borbone, Re di Napoli dal 1751 al 1899 (soprannominato “Re lazzarone” o “Re nasone”) a violare le regole dell’etichetta e con travestimenti che gli consentivano di mescolarsi al volgo mangiare le famose pizze di “Pietro o’ Pizzajuolo”.
Pietro Colicchio, non avendo né fratelli né figli, cedette la pizzeria a Enrico Brandi, che passò la mano a sua figlia Maria Giovanna Brandi, futura sposa di Raffaele Esposito.
Il racconto prosegue con Raffaele e Maria che portano a Capodimonte le pizze cotte in bottega a Salita Sant’Anna, su un carrettino trainato da un asinello.
Tipi di pizze dell’epoca
Le pizze erano tre: una alla “mastunicola” con sugna, formaggio pepe e basilico; una “cu ‘e cicenielle” (in italiano “bianchetti” il novellame del pesce azzurro) aglio, origano, olio d’oliva.
A palazzo vi erano presenti dei forni per il pane atti a cuocere le pizze, voluto dal Re Ferdinando di Borbone nel bosco di Capodimonte, per far assaggiare la pizza alla moglie Carolina.
Le pizze furono molto gradite, delle tre proposte, quella che entusiasmò la Regina Margherita fu quella con pomodoro, mozzarella e basilico.
Il gran capo dei Servizi da Tavola Camillo Galli, si presentò allora da “o’ pizzaiuolo” e gli chiese come si chiamasse quella pizza che la regina aveva tanto gustato.
Don Raffaele, da bravo napoletano e quindi uomo di pubbliche relazioni, ebbe una visione, ovvero la bandiera con il tricolore e lo stemma sabaudo, colse al volo l’occasione e rispose… “Margherita”.
Il giorno seguente il Galli inviò a Don Raffaele Esposito una nota di ringraziamento e da quel momento la “Pizzeria Regina d’Italia” mise nel menù la “Pizza Margherita” .
Casa di S M
Capodimonte, Ispezione Ufficio di Bocca Pregiatissimo Sig. Raffaele Esposito Brandi Mi creda di Lei Devotissimo Galli Camillo |
Il Falso Storico
Una bella storia che fa onore alla inventiva napoletana, ma purtroppo un “falso storico”!
In realtà, una più attenta ricerca nelle fonti storiche permette di assegnare alla pizza più conosciuta ed amata nel mondo un’età ben più vetusta, pur senza negare il reale ma solo successivo coinvolgimento della Regina Margherita.
Ne saranno felici i militanti delle diffuse ”fronde” neoborboniche, perchè risulta che la pizza con le caratteristiche della Margherita veniva già preparata circa un secolo prima per la regina Maria Carolina d’Austria, consorte di Ferdinando IV di Borbone re Napoli (Ferdinando I delle Due Sicilie, dopo il congresso di Vienna). Pare infatti che costei, ‘iniziata’ alla pizza dal marito Ferdinando, fosse diventata un’estimatrice in particolare di quella preparata con pomodoro e mozzarella di bufala proveniente dalla regia tenuta di Carditello, e che le piacesse talmente tanto da ordinare la costruzione di un apposito forno nella propria Reggia, cosa che anni dopo fece anche Ferdinando II di Borbone, il cui forno – successivamente utilizzato per la Regina Margherita di Savoia in questi giorni tornerà a funzionare a Capodimonte, come vi raccontiamo qui di seguito.
Circa la data di origine, si può verificare infatti come la stessa Commissione Europea, nell’assegnare alla pizza napoletana il marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita), riporti che la Margherita è nata a Napoli negli anni tra il 1796 e il 1810. Questa pizza, pertanto, ha più di due secoli, e Raffaele Esposito non fece altro che ‘riciclare’ un vecchio must napoletano del gusto fingendo di ispirarsi ai tre colori della bandiera italiana e facendone omaggio alla regina d’Italia che a quella pizza avrebbe dato per sempre il suo nome. Certo se Maria Carolina avesse solo immaginato che la pizza da lei tanto amata avrebbe finito con l’acquisire il nome di una rappresentante del casato reale destinato a spodestare i Borboni, come minimo ne avrebbe bandito la cottura da ogni angolo del Regno.
Francesco de Bourcard
Vorrei citarvi un bellissimo libro “Usi e costumi di Napoli e contorni Descritti e dipinti” (1866) diretta da Francesco de Bourcard, è presente un passaggio di un testo di Emmanuele Rocco recitando:
“Le pizze più ordinarie, dette coll’aglio e l’oglio , han per condimento l’olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l’origano e spicchi d’aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto, alle seconde delle sottili fette di muzzarella.”
Poi, per quanto riguarda il nome, spiega Alessandro Romano, coordinatore del Movimento Neoborbonico:
“Le strisce di mozzarella erano infatti disposte dal centro verso l’esterno e una volta fuse richiamavano la forma dei petali quasi ovali di una margherita. Da qui il suo nome originale pizza fior di margherita”.
Infine l’uso del basilico era uno “standard” già al tempo: basti il nome stesso della pizza alla “mastunicola” che è una storpiatura del termine dialettale con cui si indicava il basilico cioè “vasinicola” che adagiato vicino ala mozzarella disposta a petali, doveva rappresentare lo stelo e foglie della margherita.
A palazzo erano sicuramente presenti dei forni per il pane atti a cuocere le pizze, per non parlare di quello voluto dal Re Ferdinando di Borbone nel bosco di Capodimonte, per far assaggiare la pizza alla moglie Carolina.
Nel sito ”BBC “FOOD” è apparso un articolo dove l’autore informava di aver compiuto attente ricerce ed aver scoperto che un certo Raffaele Esposito (un caso di omonimia…?) aveva effettivamente ricevuto il permesso di mettere il sigillo reale sul proprio negozio.
Fonte http://www.bbc.co.uk/food/0/20515123
Però ciò avvenne nel 1871 e non era una pizzeria, ma una rivendita di vino e alcolici.
La data che molti conoscono 1883
Nel 1883 il pizzaiolo Esposito aveva sposato Maria Giovanna Brandi figlia di un famoso pizzaiolo e aveva aperto la sua pizzeria chiamandola “Pizzeria della Regina d’Italia”.
Si tratta di ben sei anni prima della visita reale il che denota un notevole grado di lungimiranza o semplicemente a posteriori un grande senso del marketing da parte degli eredi.
Mentre il firmatario del ringraziamento reale Camillo Galli fu effettivamente un funzionato alle dipendenze della regina, negli gli archivi del palazzo vi sono ordini di pagamento alle lavandaie, una risposta alla richiesta del principe di Siracusa di avere rapidamente la sua indennità reale, ma non vi è traccia di una sua missiva indirizzata ad Esposito quell’ 11 giugno!
BBC Food, secondo le regole auree del giornalismo, ha compiuto una attenta analisi della lettera confrontandola con un documento ufficiale: una lettera che dal Palazzo Reale di Milano, Camillo Galli scrisse nel 1891, richiedendo del vino.
Un confronto tra i due documenti mostra molte incongruenze!
In primo luogo lo stile dei due documenti: la missiva di ringraziamento e l’ordinativo rivelano subito che gli autori non sono la stessa persona.
Casa di S.M
Poi, le parole “Casa di S.M.” sono scritte a mano nella parte superiore della lettera: ma può un alto funzionaro non avere a disposizione della carta da lettere stampata con il logo della Casa Reale dei Savoia…?
Raffrontando il sigillo Reale dei Savoia apposto sui due documenti, si nota che quello presente nella lettera è molto simile a quello ufficiale, ma non identico.
E infine la qualifica del Galli che nei documenti ufficiali, viene presentato come “Ispettore dell’Ufficio di Bocca della Real Casa” mentre nella missiva è il “Capo dei Servizi di Tavola della Real Casa”.
Ma, allora chi fu colui che scrisse la lettera citata in tante guide turistiche e raccolte di ricette di Napoli?
Bene, la ricerca della BBC va avanti nel tempo e ci informa che Raffaele e Maria non ebbero figli, così la “Pizzeria della Regina d’Italia” degli Esposito passò ai nipoti di Maria Giovanna Brandi: Giovanni e Pasquale Brandi, che cambiarono il nome all’esercizio in “Pizzeria Brandi”.
Un locale concorrente, la “Antica Pizzeria Port’Alba” aveva due “punti di forza”: l’essere stata fondata nel 1730 come primo locale per supportare la vendita ambulante, e poi in quegli anni il potersi fregiare di una clientela composta da artisti e scrittori famosi.
Regina Maria Carolina d’Austria e Ferdinando IV di Borbone
La Regina Maria Carolina d’Austria, consorte di Ferdinando IV di Borbone Re Napoli fosse diventata un’estimatrice della pizza, in particolare di quella preparata con pomodoro e mozzarella di bufala proveniente dalla Regia Tenuta di Carditello, e che le piacesse talmente tanto da ordinare la costruzione di un apposito forno, nelle cucine della reggia.
Adesso vi racconto la vera storia della Pizza Napoletana, raccontata da Salvatore Di Giacomo, poeta e drammaturgo dialettale nel volume “Luci e ombre napoletane” .
Il racconto di Di Giacomo inizia con il Ferdinando Il di Borbone Re delle due Sicilie dal 1830 al 1859 piacevano il baccalà, il soffritto, la mozzarella, le pizze e i vermicelli al pomodoro. Era in vacanza presso la Reggia di Capodimonte.
“Stando Ferdinando II a villeggiare a Capodimonte nel 1830, fu chiamato in corte , non senza sua grande meraviglia (il pizzaiolo Domenico Testa). La persona che lo chiamò gli disse che la regina e le sue dame desideravano tanto di mangiare delle pizze, che le facesse nella sera seguente e comuni e volgari come quelle che voleva vendere a due grana l’una. Il forno fu fabbricato nello stesso bosco di Capodimonte, le pizze furono preparate e le si mise al forno mezz’ora dopo la mezzanotte”.
Dopo due o tre minuti eccoti lì, con quattro o cinque dame di Corte, la regina (Maria Carolina di Savoia), arrivano poco dopo altre dame velate e in tutto don Domenico ne conta venti. La regina mangia con buon appetito una pizza da due grana, le dame la imitano ridendo, i domestici servono vino bianco e arance, ricomincia il ballo in Palazzo e la visione scompare.
Resta accanto a don Domenico un bel signore bruno e alto, che gli domanda sottovoce: Che impiego vorreste? Don Domenico era vanitosetto: preferì d’ avere un’ onorificenza e rispose al signore misterioso: Vorrei chiamarmi munzù! “
Di Giacomo
Di Giacomo spiega poi che “di quei tempi, il monsieur definiva celebrità di ogni genere: monsieur Raison era il principe dei parrucchieri, monsieur Thavenin inaugurava il Caffe d’Europa, monsieur Girard col suo negozio di musica era il Ricordi di Napoli. Chi era monsieur era “grande” e il nostro buon Domenico al pari di tanti chef pluristellati di oggi diremmo noi era molto vanitoso.
Ecco l’idea vincente! La “bella pensata” che avrebbe catturato l’attenzione del pubblico, facendo leva sul fatto che la pizza non era certo disdegnata da re e regine che la offrivano ai propri ricevimenti!
Per cui la strategia di marketing avrebbe dovuto tenere in considerazione i seguenti punti:
a) Non prendere in considerazione la storia di Ferdinando I vestito da popolano che va a mangiare la pizza di nascosto: in fondo quel camuffamento per entrare nella pizzeria frequentata dal popolino sminuiva il locale.
b) Rimodellare la storia di Maria Cristina di Savoia, che amava molto la pizza bianca, rossa e verde ma era troppo austera
la Chiesa le ha riconosciuto il titolo di beata tanto che venne soprannominata “la Regina che non sorride mai” (un aneddoto racconta che ella, cedendo alle insistenze del marito, assaggiò una fetta di Pastiera Napoletana e non poté far a meno di sorridere. A quel punto il Re esclamò: «Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua».
Per cui, sostituire una regina Savoiarda, Maria Cristina di Savoia divenuta Borbone con il matrimonio, con un’altra regina, Margherita di Savoia, sempre della casata che regnava in Italia in quel momento e che aveva nella propria bandiera i colori della pizza con mozzarella e basilico.
c) Trovare una liason con il proprio intraprendente zio.
In fondo era una storia credibile, dal momento che la pizzeria era stata chiamata fino a poco tempo prima, “Pizzeria della Regina d’Italia”.
Quel: “Caro Sig. Raffaele Esposito Brandi” è una ulteriore prova che la lettera è stata composta nel 1932 e non il 1880. Infatti il nostro Raffaele Esposito sposando Maria, non poteva aver preso il cognome della moglie. Ecco quindi che quel “Brandi” è del tutto fuori luogo,e serve solo a creare correlazione tra il loro cognome e la lettera indirizzata a Esposito.
Oggi Vincenzo Pagnani ex aiutante di Pasquale, l’ultimo Brandi continua la secolare tradizione di questa storica pizzeria espone ad una parete del locale la “storica” lettera e, nel proprio sito web comunica in ben sei lingue che alla “Antica Pizzeria della Regina d’Italia dal 1870” la pizza è un pezzo di storia”.