I Romani erano definiti dai Greci “mangiatori di puls” (Plauto, Poenulus, 54).
Gli utensili assomigliano molto a quelli ancora oggi in uso con una maggior grandezza in generale , specie i mestoli in legno a cucchiaio o a forchetta.
Si usavano anche coltelli di varia foggia, grattugie, taglieri, mezzelune, aste per spiedi, schiaccianoci, stampi per dolci o per “terrine”, coperchi termo protettivi (clibanus) che grazie alla cavità fra parete esterna e parete interna trattenevano a lungo il calore convogliandolo in modo uniforme con la tecnica a campana.
La prima pizza è stata cotta nella terrina da forno dal latino terrineus (fatto di terra), derivante dal materiale che la costituisce, la terracotta o il gres.
Gli antichi romani cucinavano in padelle antiaderenti
Ad annunciare la scoperta nel 2016 fu il team di archeologi composto da Marco Giglio, Giovanni Borriello e Stefano Iavarone dell’Università Orientale di Napoli. I tre individuarono nell’antica città di Cuma ( nel territorio dei comuni di Bacoli e di Pozzuoli), il luogo in cui un’officina specializzata nella produzione di recipienti per la cottura, un fosso colmo di circa 50.000 pezzi provenienti da coperchi, pentole e padelle accomunati da un rivestimento rosso antiaderente.
Le testimonianze scritte sono contenute nell’antico ricettario De Re Coquinaria che ne raccomanda l’utilizzo per la preparazione di stufati a base di carne. Nel 1975, invece, l’archeologo Giuseppe Pucci aveva tentato di identificare con scarso successo una serie di tegami simili agli ultimi reperti.
“Sembra che Cuma fosse il centro di produzione principale di queste pentole anti-aderenti ampiamente utilizzate in tutto l’Impero romano,” ha raccontato Marco Giglio a Discovery News, “trovare una discarica come questa è il sogno di ogni archeologo.”
Secondo lo studioso, i reperti risalgono a un periodo compreso tra il 27 aC e il 37 dC durante i regni di Augusto e Tiberio.